Nel dibattito sulla sostenibilità ambientale e sulla salute globale, l'adozione di una dieta a base vegetale sta guadagnando sempre più l'attenzione di giovani e meno giovani, con la generazione Z che ha espresso in modo netto la sua preferenza per un approccio maggiormente sostenibile con il cibo. Secondo un recente sondaggio condotto nel 2023 dalla piattaforma di ricerche MIDSS su 3000 ragazzi, è risultaro infatti che il 70% dei giovani e giovanissimi prevede di diventare o rimanere vegan nei prossimi 5 anni.
E poi? Ragionando su questo dato e sulla tendenza che presumo proseguirà anche con la prossima generazione (alpha) mi sono posto una domanda: Cosa accadrebbe se invece del 70% dei giovani fosse il 70% degli abitanti del pianeta a diventare vegano?
Iniziamo dalle note positive: le risorse idriche. oggi per produrre un kg di manzo possono occorrere fino a 100.000 litri d’acqua (considerando l'intera filiera); una quantità inaccettabile e se il 70% degli abitanti del nostro pianeta adottasse una dieta vegana, questa domanda di acqua diminuirebbe significativamente (per un chilo di frumento occorrono 900 litri di acqua e per un chilo di soia circa 2000), permettendo un uso più sostenibile delle risorse idriche e riducendo la pressione sui bacini idrografici già in sofferenza.
Il passaggio poi a una dieta vegana avrebbe un impatto positivo sulle emissioni di gas serra. Non dobbiamo mai dimenticarci che l'allevamento, soprattutto quando intensivo, è responsabile di una quantità importante di emissioni di CO2, metano e ossido di azoto. la FAO afferma infatti che il bestiame produce circa il 9% del principale gas serra ovvero il biossido di carbonio, ma è responsabiole anche della produzione del 35-40% delle emissioni di metano e il 65% di quelle di ossido di azoto (che è circa 300 volte più dannoso del CO2 per il riscaldamento globale). Globalmente, le emissioni totali di gas serra causate dal settore zootecnico sono oggi pari al 18% del totale derivante dalle attività umane.
Mica fuffa.
E non è ancora finita. La FAO dichiara che, fra il 1990 ed il 2020, circa 420 milioni di ettari di foresta pluviale, ovvero un'area equivalente a quella dell'intera Unione europea, sono andati perduti per far posto a coltivazioni di mangimi per il bestiame ed allevamenti.
E poi? Vogliamo parlare del benessere animale? Con meno animali allevati per il consumo umano, ci sarebbe meno sfruttamento e sofferenza. La transizione verso una dieta vegana promuoverebbe una maggiore compassione e rispetto verso tutte le forme di vita sulla Terra. Un sogno che diventa realtà.
Ma non è tutto oro quello che luccica.
La produzione di certi alimenti vegetali richiederebbe infatti l'uso comunque intensivo di terra e risorse portando a problemi di deforestazione e sfruttamento del suolo certamente minori, ma non così dissimili da quelli derivanti dall'allevamento di bestiame. Non possiamo poi non considerare l'impatto socio economico che deriverebbe dall'abbandono del consumo di carne; un'intera filiera, centinaia di migliaia di aziende si fermerebbero e milioni di persone perderebbero il lavoro. Povertà, disordini, proteste, rivolte e morte. Ricordiamoci sempre che per ogni aumento dell'1% della disoccupazione muoiono circa 40.000 persone.
Va poi valutato l'impatto negativo del miglioramento della qualità della vita. Senza il consumo di carne vi sarebbe un importante calo delle morti per malattie cardiovascolari, per tumori, per malattie metaboliche e questo porterebbe ad un inevitabile incremento dell'età media della popolazione e del numero di abitanti.
Può questo pianeta ospitare otto miliardi di persone nei prossimi cinquanta o cento anni?
Sognare un mondo vegano può essere il primo passo verso una realtà più sostenibile e compassionevole per tutti, ma rimango della mia idea: non è tutto oro quello che luccica e quando si parla di impatto a lungo termine di cambiamenti socio-economici così radicali, la verità non la conosce nessuno, tantomeno io.
Alla prossima